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FIANELLO: Utopia o Realtà?

 

Innanzi tutto, vorrei prevenire un’eccezione abbastanza ricorrente di fronte a problemi del tipo Fianello. Si dice: “in momenti di crisi, come quello in cui viviamo, davanti al problema della fame, della disoccupazione e della carenza, in generale, delle strutture pubbliche e private, anche le più elementari e necessarie, è fuor di luogo porre problemi di carattere artistico, storico, paesaggistico e culturale, sottraendo risorse economiche private e pubbliche, per la soluzione di tali problemi”.

La risposta ad un’eccezione di tal genere, può essere articolata nel modo seguente:

1)   non si deve sopravalutare il periodo di crisi che stiamo vivendo. L’umanità, infatti, ha conosciuto ben altri e più gravi momenti storici: le invasioni barbariche, le scorribande dei Saraceni, le lunghe guerre, le rivoluzioni…… eppure, neppure nel Medioevo considerato, sotto questo profilo, il periodo più buio dell’umanità, è venuto mai meno l’interesse ed il culto per l’arte, il paesaggio, la cultura; in una parola, per la Civiltà, che non è un lusso, un superfluo; ma linfa vitale dei popoli, che più devono coltivarla, quanto più si trovano in crisi;

2)   l’impegno, anche economico, per la difesa di valori storici, paesaggistici e culturali, costituisce sempre un buon investimento, che ripaga ampiamente sotto il profilo sociale. Nemmeno le teorie più materialistiche, infatti, trascurano il culto e la tutela dei predetti valori di civiltà.

Ed ora, passando dal generale al particolare, al caso specifico, chiediamoci francamente e freddamente se e come il salvataggio di Fianello può tornare utile a chi vive il presente, la vita di ogni giorno, con tutti i problemi che comporta.

         Io credo che non esista persona al mondo che pianti un albero, costruisca una casa, intraprenda una qualsiasi opera materiale, senza pensare che tutto ciò sopravvivrà alla sua morte e che servirà anche per il bene di coloro che verranno.

         Ed io credo che non esista persona al mondo che possieda un albero, una casa od una qualsiasi opera materiale posta in essere dal proprio padre, che non vada orgogliosa di tale bene e che non lo mostri agli altri.

         Perché, dunque, ciò non dovrebbe accadere per un intero paese? Perché si dovrebbe consentire la distruzione di tante cose, che costituiscono testimonianza viva del passato, di ricordi della propria infanzia, delle fatiche e delle gioie dei propri padri, madri, nonni e bisnonni?

         Perché, infine, dobbiamo erroneamente ritenere che il culto dei nostri morti si debba limitare al formale ossequio delle loro ossa nei cimiteri e non debba anche e soprattutto consistere nel rispetto del loro ricordo, delle case che hanno costruito ed abitato, delle strade che hanno percorso e delle chiese in cui hanno pregato?

         A cosa serve, allora, recriminare sul fatto che la conservazione di tutto ciò comporti delle spese?

         Se un genitore diventa vecchio ed il suo mantenimento ci comporta sacrifici economici, pensiamo forse di ucciderlo per questo?

 

         Ma quello, fin qui esaminato, è solo un aspetto del problema. Fianello, infatti, non è solo un patrimonio di storia, di arte e di ricordi; un vecchio genitore che dobbiamo mantenere.

Fianello è anche e soprattutto un bene, che può tornare utile a tutti in modo concreto.          Fianello non è un’utopia, ma una realtà.

         L’uomo è un animale sociale. Egli si differenzia da tutti gli altri animali perché, per vivere, ha bisogno non solo di una casa, di cibo, vestiti ed altri beni materiali, ma anche di relazioni sociali.

Un centro di incontro, infatti, è un’esigenza sociale che l’uomo ha sempre sentito, fin dagli albori della civiltà: dallo “spiazzo” posto al centro del villaggio primitivo, alla “agorà”degli antichi greci, al “forum” degli antichi Romani, alla “city” dei popoli anglosassoni, alla “piazza” dei nostri paesi. Un punto d’incontro, un centro di vita. Un luogo in cui ci si possa soffermare, per parlare, per conoscersi meglio, per pregare, per intraprendere iniziative di lavoro e di svago; in una parola, un luogo in cui l’uomo possa sentirsi tale.

La socialità, impedisce l’abbrutimento, arricchisce e migliora l’uomo, favorisce le idee e le iniziative, perfeziona i rapporti tra i cittadini e tra questi e la Pubblica Amministrazione.

         La sociologia e l’urbanistica moderne, dopo anni di errori commessi dalla nostra società, hanno riscoperto la necessità di ripristinare questi centri d’incontro e di vita accorgendosi anche, finalmente, che è senz’altro più economico restaurare i vecchi centri storici esistenti, anziché costruirne di nuovi. Ed è per questo che molte Regioni e Comuni hanno preso iniziative concrete in tal senso. Ed è per questo che si sta sempre più allungando l’elenco di privati cittadini e pubblici amministratori sensibili e lungimiranti, che favoriscono con ogni mezzo questa operazione di recupero dei centri storici, per trasformarli in moderni strumenti urbanistici e sociali al servizio della cittadinanza e non soltanto locale, ma anche dei paesi vicini.

 

Fianello, sotto questo profilo, ha tutte le carte in regola:

-         la sua storia è degna di nota, come risulta dalle ricerche;

-         la sua posizione particolare, al di fuori delle attuali vie di comunicazione, costituisce una caratteristica che consente di usare il paese per tutta una serie di iniziative, che richiedano un luogo raccolto e strutture facilmente organizzabili, in uno scenario di arte, storia e natura veramente rimarchevole.

Ma quello che occorre e che manca, è l’entusiasmo e la partecipazione dei giovani.

         Abbiamo già detto, in altra occasione, che non vorremmo assistere immobili all’abbandono totale di queste terre da parte dei giovani.

         Certo, il problema di organizzare un ritorno di gran parte di coloro che se ne sono andati, è problema economico e politico, che non spetta a noi risolvere; ma noi, tutti insieme, abbiamo la possibilità e, quindi, il dovere di migliorare e rendere più accogliente, per coloro che hanno deciso di restare, l’ambiente in cui hanno scelto di vivere con i propri figli e la propria famiglia.

E per far ciò è necessario cominciare da ciò che costa meno e rende molto in campo sociale: la rivitalizzazione del centro storico come centro d’incontro, di vita e di iniziative sociali, culturali, economiche, civiche e religiose.

         Il materiale umano esiste, le possibilità ci sono; quel che occorre, per la realizzazione dello scopo, è una ferma volontà di tutti, un nucleo organizzatore e la collaborazione aperta ed esperta della pubblica amministrazione.

         Quello che è stato fatto finora è molto; si può dire, senza retorica, che è stato fatto il vaso: ora bisogna riempirlo.

Riempirlo di contenuti umani, sociali e spirituali.

Questa incombenza non può essere delegata, ma deve essere fatta propria da ciascuno di noi, senza personalismi, divisioni od egoismi di qualsiasi genere.

         E’ necessario agire uniti; non lasciarsi dividere da eventuali diversità di vedute, ma collaborare ciascuno con il proprio apporto di opera o di critica, per la realizzazione del bene comune.

         In una società democratica, anche il più umile dei cittadini non solo è utile, ma anzi necessario: sentirsi e considerarsi tutti membri effettivi di una medesima comunità. Incontrarsi, parlare, discutere, decidere e poi agire.

         Usciamo dai nostri gusci, usciamo dagli angusti confini di frazioni, comuni e contrade; prendiamo iniziative concrete; collaboriamo tra di noi e con la Pubblica Amministrazione; lottiamo, se necessario, lavoriamo più del necessario, per il bene comune. Impariamo a considerare i beni pubblici come un patrimonio che appartiene a tutti noi ed a ciascuno di noi: li sentiremo sempre più nostri, li rispetteremo e conserveremo con amore.

         Chiunque avesse un’idea si faccia avanti, prenda l’iniziativa, organizzi un comitato promotore; impariamo a conoscerci ed a collaborare; apprezziamo la critica come insostituibile contributo a prevenire e correggere errori; uniamo le forze e le capacità di tutti.

         Siamo pochi, e se siamo divisi saremo dei vinti; ma se siamo uniti, saremo vincitori.

         Mi si conceda di terminare queste annotazioni con le parole di un canto, dense di contenuti sociali e spirituali:

 

         Signore, in questo momento, solo tra la mia gente, mi sento una formica.

Una formica è solo una formica, uno zero, una nullità: per lei i granelli di sabbia sono montagne; ma se combatte insieme alle compagne, una formica smuove le montagne”.

 

Alberto Longobardi

 

 

Dove il passato è presente

 

 

 

 

 

Alcune immagini sono tratteda: Petites heurs d’anne de Bretagne(Biblioteque National Paris)