Questo è il fatto storico alla base della rappresentazione in costumi medievali

 

 

I Longobardi di Fianello cedono all'Abbazia il Borgo con tutti i suoi possedimenti. Questo è il fatto storico alla base della rievocazione in costumi medievali. Ma come mai una famiglia longobarda si trova a possedere un castello, dopo che il dominio longobardo in Sabina era cessato qualche anno prima dell'800? Carlo Magno re dei Franchi, liquidato il re longobardo Desiderio in pochi mesi, impiegò molti anni a consolidare la conquista della penisola italiana, che tuttavia non inglobò mai il ducato di Benevento. Rinunciò a colonizzare i Longobardi, perchè più civili dei Franchi, e lasciò indipendenti alcuni loro Ducati. Rispettò i loro costumi e conservò le loro leggi; ricalcò la sua burocrazia sugli schemi di quella longobarda, ed assegnò alcune contee perfino a funzionari di Desiderio. L'opera di pacificazione che condusse fu lungimirante. Caduta Pavia, assunse il titolo di Re dei Franchi e dei Longobardi; memore, forse, che alla fine del 500 il re longobardo Agilulfo stipulò con i Franchi un patto di non aggressione e quando la Provenza fu minacciata dagli Arabi, i Franchi invocarono l'aiuto dei Longobardi: Liutprando attraversò le Alpi Marittime, sconfisse i Musulmani e li volse in fuga. La presenza longobarda in Sabina, comunque, è documentata sino al 916 d. C. : Il 23 agosto 846, scrive Giovanni Cecchini ("Roccantica, Medioevo che vive" Teseo Editore), i Saraceni sbarcano alle foci del Tevere; poi, seguendone le rive, arrivano a Roma. La parte più grossa di quel ch'è ridotta Roma a quel tempo, posta sulla riva sinistra, regge all'urto con le possenti mura Aureliane e sul Tevere con le piccole postierle (posterule). La riva destra è priva di difesa ed i Saraceni saccheggiano il vecchio costaniniano S. Pietro. Nulla arresta queste bande di pirati, che penetrando all'interno del Lazio, ovunque depredano, incendiano, uccidono. Ecco l'orda maomettana in Sabina, attraverso le valli del Tevere, del Salto e del Turano. Desolazione e morte per i pochi agglomerati sparsi sulle colline.


L'Abbazia farfense dapprima regge l'urto, poi cede. I monaci fuggono divisi in tre gruppi, rifugiatisi a Roma, Rieti e Fermo portando in salvo il tesoro farfense. L'Abbazia viene poi distrutta da un incendio causato dagli stessi saraceni o da "latruncoli cristiani". Questo accadde nell'898. A sua volta, Tersilio Leggio (Tarano nel Medioevo) scrive: "L'eccessiva profondità delle incursioni arabe, che generava un pericoloso allungamento delle linee di collegamento con le basi di partenza, e la dispersione delle forze, che comportava un controllo territoriale meno assiduo e puntuale, avevano consentito una certa riorganizzazione delle popolazioni colpite dalle scorrerie saracene. La pressione dovette allentarsi precocemente in alcuni tratti della valle del Tevere, in considerazione del fatto che nel 911-913 si stava ricostruendo il tetto della chiesa abbaziale di Farfa. Una reazione militare, poi, non tardò a manifestarsi. Si è discusso a lungo su chi la avesse promossa. In taluni casi si è enfatizzato il ruolo svolto dal papa Giovanni X, mentre in altri si è messo in maggior risalto quello svolto dal duca di Spoleto Alberico nella fase preparatoria della battaglia del Garigliano. L'unica fonte in proposito, Benedetto monaco, citando insieme Longobardi e Sabini attesta chiaramente come lo sforzo fu, almeno apparentemente, congiunto (la suddivisione della Sabina longobarda avvenne nel 781, quando la Sabina tiberina fu staccata dal gastaldato reatino e consegnata al papa). Il comando fu affidato al reatino (longobardo) Takeprandus (o Archiprando, secondo Cecchini). Le truppe attaccarono e sconfissero i Saraceni a Trebula Mutuesca, probabilmente nei primi mesi del 915. La sconfitta subìta indusse i Saraceni stanziati nel Cicolano, seguiti da coloro che si erano insediati a Narni ed Orte, a ritirarsi dalle loro basi precipitosamente, abbandonando definitivamente la zona per ritirarsi al Garigliano dove, come scrive il Cecchini, la Lega di tutti i principi cristiani di Benevento, Salerno e Capua; dei duchi di Spoleto e Camerino sotto gli auspici di Berengario I°, rafforzati da truppe bizantine; e la flotta al comando di Nicolò Picingli, stratega di Langobardia, sbaragliarono definitivamente i Saraceni nella famosa battaglia del Garigliano nell'agosto 916 (o 915 secondo il Leggio). Per narrare la nostra vicenda, dobbiamo rifarci al Ducato di Spoleto, fondato dal duca longobardo FAROALDO I° nel 570. Ma chi erano i Longobardi? Per dirla con J. Misch, "se vogliamo comprendere il mondo attuale, bisogna tornare a quando l'impero di Roma fu frantumato dalle torme di "barbari"; a quando, dal caos che ne seguì, iniziò a formarsi un mondo nuovo. In quel dramma della storia, i Longobardi compaiono sulla scena all'ultimo atto, quando invadono l'Italia nel 568. Alle loro spalle stavano mille anni di migrazioni, quando dal nord scandinavo mossero verso il bacino dell'Elba, la Boemia e l'Ungheria (Pannonia), per poi arrivare nell'attuale Lombardia, terra che ancora porta il loro nome. Nessun incontro tra cultura germanica e classica fu più fruttuoso per lo sviluppo della civiltà occidentale, alcun paese d'Europa svolse un ruolo di pari importanza in campo culturale ed economico come l'Italia settentrionale sotto i Longobardi. E' qui che inizia un'attività creatrice che non ha smesso di dare i suoi frutti. Nessuna prova testimonia della vivacità culturale delle città dell'Italia centrale e settentrionale in modo più inequivocabile della nascita che ivi si ebbe delle prime Università d'Europa. Quando nel 1303 fu fondata l'Università di Roma, in quello che era stato il Regno longobardo ne esistevano già dieci; mentre al di là delle Alpi se ne contavano solo tre: Parigi, Oxford e Cambrige. Nel 592 il duca di Spoleto ARIULFO, che in precedenza aveva sottomesso le terre sabine, assediò Roma, costringendo papa Gregorio a pagare un compenso, per far cessare l'assedio. Da questo momento anche la Sabina tiberina fu controllata stabilmente dai Longobardi. E mentre CURES decadeva, RIETI, occupata dai Longobardi nel 584, divenuta un importante Gastaldato autonomo del Ducato di Spoleto, si trasformò nel nuovo baricentro della Sabina. Successivamente, anche la diocesi reatina, con l'espansione del potere dei vescovi, espressione dei gruppi dirigenti longobardi locali, riuscì ad affermare la sua influenza fino al Tevere, inglobando il territorio della diocesi spopolata di Cures Sabini. Anche nella diocesi di FORUM NOVUM, odierna Vescovìo, è evidente la connessione tra cariche religiose e dirigenti longobardi; si veda il caso del prete Uvaldipertus, protagonista nel 768 dell'elezione dell'antipapa Filippo e sepolto poi a Vescovìo dopo la sua tragica uccisione a Roma. In precedenza, tra il 578 ed il 591, si erano svolte accanite lotte tra Longobardi e Bizantini per il controllo della via Flaminia, che consentiva il collegamento tra Roma e l'Esarcato di Ravenna. Come risulta dai Dialoghi di Gregorio Magno, i Longobardi di Spoleto, già padroni del paese dei Marsi e buona parte della Sabina, erano penetrati nel bacino dell'Aterno. Spoleto, pur trovandosi sul ramo orientale della via Flaminia, dominava anche il ramo occidentale tramite una strada detta ancor oggi "Via Romana", che da Càrsoli giunge a Spoleto attraverso i Monti Martani. La scelta di Spoleto fu suggerita dalla sua posizione centrale nel cuore dell'Italia, tra Roma a sud, e le principali città rimaste ai Bizantini a Nord (Ancona, Rimini, Ravenna) e dall'agevolezza di comunicare col ducato della Tuscia (attraverso le valli del Tevere, della Paglia e della Chiana) e col ducato di Benevento, attraverso la Sabina e la valle del Liri. Dall'altopiano di Norcia, i Longobardi risalirono il Nera e, per il valico di Appennino ed il Chienti, discesero nella conca di Camerino, seguendo le vie Valeria e Salaria. E mentre si erano insediati stabilmente nella parte centrale della via Flaminia, era restata ai Bizantini la parte settentrionale di essa che dall'Adriatico, attraverso la Pentapoli, giungeva alla Scheggia. Di qui le comunicazioni con Roma si effettuavano per la via Amerina e Cassia toccando Gubbio, Perugia, Todi, Amelia ed Orte. Solo ai primordi del pontificato di Gregorio Magno e del regno di Agilulfo, Ariulfo duca di Spoleto occupò, nel 592, Luceoli, Bomarzo, Sutri, Todi, Amelia, Orte e Perugia,. Le ultime quattro, intorno al 598, tornarono ai Bizantini, che passando per Gubbio ripigliavano alla Scheggia la Flaminia. Il dominio longobardo nella Tuscia e nel ducato di Spoleto, a partire dal Tirreno, cominciava a nord di Civitavecchia (Centocelle), seguiva il corso del fiume Marta, passando a nord di Blera, piegava tra Sutri ed il lago di Vico, toccando Bomarzo, continuava nel territorio di Amelia e discendeva a Narni sul Nera e sulla via Flaminia. Poi NARNI, aspramente contesa tra Longobardi e Bizantini, finì per divenire una zona grigia, ove era possibile la convivenza tra gli uni e gli altri. Una lettera di Gregorio Magno a Preiecticio, vescovo di Narni, menziona i Longobardi ivi dimoranti, ai cui bisogni spirituali il Papa esige che il vescovo provveda. Ed ora dobbiamo riportarci ad un altro riferimento storico nel periodo che ci riguarda: il ruolo delle ABAZIE, che svolgevano una funzione politica rilevante, fino a raggiungere un vero e proprio potere economico e militare molto autonomo nei confonti del papato. Nel 1330 papa Innocenzo VI incarica il vescovo di Sabina, EGIDIO di ALBORNOZ, di riportare sotto l'autorità pontificia tutti i territori che se ne erano allontanati. Ma il cattivo governo dei rettori pontifici portò vari paesi della Sabina alla ribellione (Fianello 1352, Rieti 1375): i territori ribelli furono messi al sacco. Ritorniamo a Fianello. Narra la leggenda che il potere della famiglia di Bizanna era rimasto quasi del tutto integro, perchè i suoi esponenti erano riusciti a muoversi abilmente attraverso varie vicissitudini che avevano visto in lotta Papato, Longobardi, Bizantini e Franchi: sempre per il controllo del territorio che, all'epoca, poteva passare frequentemente da un contendente all'altro e viceversa. Berlengario, marito di Bizanna, aveva due figlie: Susanna ed Erlengarda; ma non riuscì a riavere un erede maschio: questo era il suo cruccio, che lo portò a desiderare fortemente di legare il suo nome a notevoli opere di ristrutturazione di Fianello; sognando di renderlo appetibile come dote per Erlengarda. Per realizzare tale disegno, doveva procurarsi una valida protezione. Il suo pensiero andò all'ABBAZIA di FARFA, che era potentissima e, quindi, in grado di offrirgli i mezzi per realizzare il suo desiderio e per difenderlo dalle sempre pressanti mire papali sul castello. Per sugellare tali protezioni. si usava stipulare un atto di "cessione", col quale il possesso di fatto del castello rimaneva al cedente, ma l'appartenenza "politica" passava all'abbazia. L'atto fu formalizzato nel 1036 ed è conservato negli archivi dell'Abbazia, ove risultò registrato per pochi anni. Poi, Fianello riappare nella documentazione nel 1191 soggetto al Papato, cui versava un censo annuo. Oltre un secolo di buio avvolge di mistero la storia di Fianello. Quali furono le vicissitudini del castello in questo periodo? Le ricerche non hanno finora squarciato il velo del mistero, ma sarà la nostra fantasia a dare una risposta, di favola e di poesia. (a cura di Alberto Longobardi per Assoc.ne Fianello). Bibliografia: I. Montanelli, R. Gervaso "L'Italia dei secoli bui" Rizzoli; F. Battisti-T. Leggio-L. Osbat-L. Sarego "Itinerari Sabini D.E.U.I.; Provinciarieti.it (internet); J. Misch "Il regno Longobardo d'Italia". Eurodes; B. Feliciangeli "Longobardi e Bizantini lungo la Via Flaminia" A. Forni. Giovanni Cecchini "Roccantica, Medioevo che vive" Teseo Editore. Tersilio Leggio "Tarano nel Medioevo".
DALLA LEGGENDA DI ERLENGARDA. Poco dopo, per il grande dolore, morì anche Bizanna; ed Erlengarda rimase sola e disperata. E' voce popolare che spesso saliva sulla Torre di Fianello per piangere; e mentre piangeva un pettirosso si posava sulla sua spalla e la consolava. Nella cronaca e nella storia dell'epoca, non c'è traccia alcuna di cosa sia accaduto ad Erlengarda. Molte e diverse sono le leggende popolari: alcuni raccontano che si sposò con Ciro, andando a vivere a Bisanzio; altri raccontano che si ritirò in un convento; altri ancora, che morì battendosi eroicamente per Fianello e che il suo spirito aleggia ancora nella Torre, pregando tutti di salvare il suo Borgo. Le sue implorazioni si odono il primo giorno di ogni luna piena, a mezzanotte in punto; ed ogni cento anni la si può vedere, bella e sorridente come allora. DAL CANTO DI ERLENGARDA alzate l'occhi allo cielo et mirate la luna, lo sole; inebriateve delli odori della natura, fateve accarezzare dallo vento, ascoltate lo canto degli augelli, lo mormorio dello ruscello. Solo così se pote avvertire la nostra appartenentia alla Divina Essentia. Dalla Canzone de Susanna Ogni volta che correvo per Fianello tutto me pareva bello perchè ero ancora bambina. Con Erlengarda giocavo et li cavalieri sognavo che se parlavano con la Fatina. Ora sogno de andare sposa tutta vestuta de rosa quando me siedo sulli prati fioriti. Gatti numerosi et cavalli furiosi ad Erlengarda sono graditi. A me li fiori piacciono tanto perchè parlano de incanto allo animo sognatore. Sogno uno prence per consorte che della vita me apre le porte et de felicitade me inonda lo core. Vorrei vivere nella vicina Tarano che have uno aspetto arcano perchè nella valle se immerge. dall'INNO DE BIZANNA Le guerre ogni die ce assediano scintillanti de spade, la fame sovente ne segue, le malattie falciano le nostre esistentie. Ma al desopra de ogni trestezza se erge, prorompente, la Vita. DALLA LEGGENDA DI BERLENGARIO ..... iniziarono ben presto i lavori a Fianello. Purtroppo la morte lo colse proprio mentre fervevano tali lavori, davvero rilevanti. Egli, in qualche punto del Palazzo o della Torre, aveva nasc Color osto un prezioso rotolo di pergamena in cui aveva diligentemente annotato tutte le cronache della sua vita e degli avvenimenti di cui fu protagonista o testimone, compresi i patti segreti; nonchè le vicende narrate dai suoi nonni e genitori sui Romani, i Bizantini, i Longobardi ed i Franchi a lui più vicini. Tale manoscritto non fu mai ritrovato, ma una leggenda popolare narra che tornerà alla luce quando l'amore per Fianello sarà concretamente riscoperto dai discendenti del luogo, da quelli dei romani e da quelli che abitavano i possedimenti di Bizanna e Berlengario compresi tra Narni, Calvi, Montebuono e Tarano. E' una leggenda o una profezia?

(a cura di Alberto Longobardi per l'Associazione Fianello)
Bibliografia: I. Montanelli R. Gervaso "L'Italia dei secoli bui" Rizzoli
F. Battisti-T. Leggio-L. Osbat-L. Sarego "Itinerari Sabini pag. 410 D.E.U.I. Edit.
Provinciarieti.it (internet). Jurgen Misch "Il regno Longobardo d'Italia" Ed. Eurodes

 

STORIA - FOTO - PROGRAMMA

 

 

 

Dove il passato è presente

 

 

 

 

 

Alcune immagini sono tratteda: Petites heurs d’anne de Bretagne(Biblioteque National Paris)